Tutto, ogni anno, riporta a quella religiosità antica che passa proprio principalmente attraverso il rito del pane. Qualcosa che è sempre stato di quel mondo contadino dove il pane, simbolo della provvidenza, ha sempre assunto anche quel valore della solidarietà e della carità cristiana. Una devozione quella a San Giuseppe che si traduce in un impegno per la preparazione del pane, o delle tavole benedette, spesso assunto anche per tutta la vita per un voto espresso al Santo, o per aver chiesto una grazia o, più semplicemente, per aver invocato ogni momento la sua protezione. Per i sanmarzanesi, dedicarsi alla preparazione del “pane dei poveri”, come anche delle “tavole dei poveri”, note come “mattre”, è il miglior modo devozionale, già dei padri, di onorare e imitare San Giuseppe, il Santo giusto e caritatevole. Quel pane e quei piatti rappresentano la volontà di tramandare una fede più che una semplice tradizione. Ecco perché il pane e la “mattra” che faceva la nonna si perpetua, anche nella modernità, come quel valore antico che, nella tradizione della Festa di San Giuseppe, in San Marzano, diventa anche l’identità religiosa di un popolo. Il pane e il cibo delle “mattre” di San Giuseppe, oggi sembrano lontani dall’utilità di dover sfamare i poveri, come realmente è accaduto sino alla fine del secondo conflitto mondiale, quando molti pellegrini di alcuni comuni vicini il giorno della festa arrivavano in paese, a piedi, con la speranza di riempire le bisacce vuote con qualche pezzo di pane o con un piatto di pasta da portare nelle proprie case per i propri figli. E non è che agli abitanti di San Marzano il gesto di dare ad altri, a quei tempi, non costasse sacrificio economico o rinuncia alimentare.
Ecco perché oggi si va in piazza ancora per prendere quel pane e quel cibo per distribuirlo agli ammalati, agli anziani e per educare i grandi, i giovani e i piccoli, al rispetto delle tradizioni e, soprattutto, al rispetto “della Grazia di Dio”. Già, perché ancora oggi a nessuno è consentito di spezzare un pezzo di quel pane o di assaggiare quel cibo senza prima aver recitato almeno una preghiera di ringraziamento a San Giuseppe. E sono le più belle tovaglie ricamate a mano, e forse mai usate dalle mamme pur di trasferirle integre dal loro al corredo delle figlie, che coprono i pani nei cesti dopo che escono dalla Chiesa, e sono anche le stesse tovaglie che coprono i bei piatti che imbandiscono le madie che il giorno della Festa vengono portate nella piazza principale del paese. Piatti colmi di “pasta fatta in casa” con orecchiette e “pizzicarieddi”, insaporiti con il sugo di carne e adornati da polpette e involtini confezionati con gli ingredienti di sempre. In ogni singola madia, al centro, tra i vari piatti primeggia un piccolo simulacro raffigurante un San Giuseppe, contornato da grandi pani, finocchio, arance e bottiglie di ottimo vino primitivo locale, meglio conosciuto come “lu mieru”. Ma la Festa di San Giuseppe a San Marzano è anche la “Tavola dei Tredici Santi”, ancora, come un tempo, perfettamente preparata nel segno della vera tradizione dalla Sig.ra Elena Vecchio. E poi ancora la “processione delle fascine della legna” per la realizzazione del falò, a cui partecipano anche i numerosi carri trainati dai cavalli guidati dai carrettieri della locale associazione “Trainieri di San Giuseppe”. Un programma che nel suo significato primario è innanzitutto religioso, affinchè mai niente di un così importante evento proprio religioso possa cadere nel pericolo del folclore o essere assorbito dalla spettacolarizzazione. Una Festa, quella del 18 e 19 Marzo, dedicata al Santo Patrono che è anche Protettore della “Buona Morte”, dei poveri, della Sacra Famiglia, del lavoro manuale, dei falegnami, ma soprattutto di una comunità come quella di San Marzano che ama il Suo Santo, il Padre Putativo di Gesù, dal quale trae ancora, anche per ricorrenze come questa, veri insegnamenti di vita cristiana.